SerialTeller
L'appuntamento di Stories. dedicato al piccolo schermo.

Il genere thriller è un campo minato per gli appassionati spettatori televisivi. Quando si è alla ricerca di un nuovo titolo da gustare, con cui trascorrere attimi di tensione ma anche vivere momenti unici, è necessario, infatti, fare slalom tra i classici procedural fotocopia, le mini-serie tanto fumo e niente arrosto e serie interminabili destinate a perdere in poco tempo il loro filo narrativo. In mezzo a una sterminata offerta esistono pochi prodotti capaci di coniugare le necessità di ogni tipo di spettatore, dal più al meno esigente. Broadchurch, con precisione e acume, è uno di questi.

Poco più di quattro anni fa per la prima volta il pubblico britannico si avventurava all'ombra delle maestose e inquietanti scogliere dell'East Cliff per scoprire, al fianco del detective Hardy (
David Tennant) e della collega Miller (
Olivia Colman), la verità in mezzo a tanti oscuri segreti della cittadina di Broadchurch. La prima stagione, sorprendente e innovativa nella sua tradizione, ruotava intorno alla morte del piccolo Danny Latimer. Gli otto episodi successivi appaiono subito come un periodo di transizione, un'inevitabile stagione di passaggio che sceglie di concentrarsi sulla fatica delle colpe, sul peso dei quesiti, morali e non, che non potranno avere mai risposta e, soprattutto, sulle ferite indelebili di una tragedia che ha segnato diverse famiglie. Si intravedono diverse linee narrative che si distaccano dalle semplici e collaudate dinamiche guidate dalla ricerca dell'identità di un colpevole. Questa scelta è senza dubbio ammirevole nel suo azzardo ma non convince completamente provocando diversi momenti privi di tensione e un intreccio poco accattivante e dinamico delle diverse sottotrame. La presenza nel cast di un'ottima interprete come
Charlotte Rampling non basta a rendere indimenticabile una stagione che, pur mantenendo una buona qualità, non si distingue.

Al gran finale, con la terza stagione, però, tutto cambia nuovamente. Il passaggio è avvenuto e la serie ideata da Chris Chibnall, pur rimanendo fedele alla sua tradizione britannica televisiva e non solo, con semplicità e naturalezza trova il modo migliore per concludersi. Le ultime puntate, infatti, si concentrano su quello che, in altre serie e nella realtà, viene considerato un 'banale' crimine minore e spesso collaterale: uno stupro avvenuto ad una festa. In otto puntate, lo show ripercorre le sofferenze, le umiliazioni e le paure della vittima, i pregiudizi e le occhiatacce di un'intera comunità impregnata di convinzioni e regole non scritte. In tutto questo si delineano i tratti di una società sinistra guidata dal conflitto tra uomo e donna e dalla supremazia di un genere sull'altro. La visione che traspare è tutt'altro che positiva ma, fortunatamente, in alcuni passaggi riescono ad emergere anche sentimenti più rosei e, soprattutto, la solidarietà, ingrediente fondamentale per comprendere ed aiutare. La vera e nuova domanda importante è come, non più chi, e chiama in causa tutti, nessuno escluso, dal detective disarmato davanti agli orrori al più convinto estremista. Si conclude così, senza troppi eccessi una serie eccezionale in grado di sviluppare al meglio le sue potenzialità e di far riflettere.
Voto seconda stagione: 6/7
Voto terza stagione: 8

Una delle pochissime serie "crime" che ho seguito con passione e interesse fino alla fine! :)
RispondiEliminaRiesce a convincere anche i non appassionati del genere :)
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