Titolo: Mudbound
Un film di Dee Rees con Carey Mulligan, Jason Clarke, Jason Mitchell, Mary J. Blige, Rob Morgan, Jonathan Banks, Garrett Hedlund
Genere: drammatico
Durata: 134 min
Ambientazione: Stati Uniti
Anno: 2017
Voto: 4/5
A cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta si susseguono i turbolenti eventi che vedono protagonista la famiglia McAllan. Dopo il matrimonio con il burbero Henry (Jason Clarke), Laura (Carey Mulligan) abbandona l'amata professione di insegnante e le comodità di Memphis per assecondare il sogno del marito di avere una fattoria. Con figlie e invadente suocero al seguito, si trasferisce quindi nel fangoso Mississipi ma la sfortuna è dietro l'angolo. Nel frattempo è scoppiato il secondo conflitto mondiale, un evento che sconvolgerà sia i McAllan, con la chiamata alle armi del fratello di Henry (Garrett Hedlund), che la vicina famiglia nera dei Jackson, desiderosi di riscattare la terra lavorata da anni tra mille fatiche e sacrifici. L'incontro tra queste due sfere di emozioni e speranze saprà inquadrare un'epoca.

Terre desolate, tinte sporche, Carey Mulligan e Jason Clarke: no, non è la Valley of Ashes gatsbyana di Baz Luhrmann. In Mudbound non ci sono polvere e cenere bensì fango, un fango che sporca le mani di tutti i protagonisti, che confonde ogni limite e inghiotte ogni sogno. Al quarto lungometraggio, la regista Dee Rees porta sul "grande" schermo - ridotto con la complicità di Netflix - il romanzo Fiori nel fango di Hillary Jordan e, attraverso la periferia rurale e razzista dell'immediato secondo dopoguerra, racconta ipocrisie e ferite di una società ancora estremamente attuale. Il lavoro della cineasta afroamericana poteva essere solo uno dei molti titoli sul tema degli scontri/confronti razziali negli Stati Uniti. Tuttavia, la pellicola ha il grande pregio del saper raccontare e intrecciare voci differenti in un unico e potente coro capace di colpire dritto allo stomaco dello spettatore.
Il rischio di ricadere nel melodramma puro o nel più soporifero racconto era molto alto. Pericolo scampato grazie ad un cast di alto livello, caratterizzato da nomi che sono spesso una garanzia - tra tutte, ottime le performance di Mulligan e Blige - ma anche da piccoli grandi sorprese come uno strepitoso Jason Mitchell nei panni del giovane Ronsel Jackson: ha contribuito alla vittoria, è stato in prima linea ma nessuno riconosce il suo sacrifico per l'intera patria e società. Qualcosa, dopo il conflitto, è cambiato. E' una trasformazione che lo accomuna all'altro reduce Jamie McCallan (Hedlund), con cui condivide traumi, risate e soprattutto quella strana sensazione di inadeguatezza al luogo e ai ruoli a loro imposti. Imposti come i confini tra bianchi e neri che l'anziano e burbero padre McCallan (un potente Jonathan Banks) si ostina a difendere nel momento in cui anche le differenze economiche e sociali non reggono più come scusa per l'odio.
Una visione inaspettata che, nonostante la fastidiosa voce fuori campo iniziale, trova un'armonia perfetta tra storytelling e temi importanti.
Attori grandiosi.
RispondiEliminaLe vicende raccontate intriganti, però forse si rischia di mettere persino troppa carne al fuoco e alla fine non tutto mi ha convinto del tutto...
Le voci fuori campo comunque sono la cosa che più mi è rimasta impressa. :)
Vero, Dee Rees ha inserito molte tematiche ma giusto così considerando il periodo in cui è ambientata la vicenda.
EliminaLe voci fuori campo, tutto sommato, sono riuscita ad apprezzarle anche io, escludendo la prima mezz'ora con effetto straniante annesso :)